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  • Come creare un theme CHILD in WordPress con un click

    Come creare un theme CHILD in WordPress con un click

    Avete il problema di dover modificare un theme di WordPress manualmente? Niente paura: questa guida cercherà  di spiegarvi passo-passo quello che dovrete fare. Spiegherò infatti i principi fondamentali dietro il theme child, un argomento non molto complesso ma che, ancora oggi, suscita numerose perplessità  tra i webmaster meno esperti.

    Come sappiamo (o dovremmo sapere), i theme child servono ad apportare modifiche personalizzate alla grafica del nostro sito in WordPress; dopo aver eseguito i passi indicati in questa guida, avremo l’opportunità  di aggiornare liberamente il theme originale (parent) senza rischiare di sovrascrivere le modifiche del child.

    Con un child avremo la libertà  di creare un theme su misura, per noi o per un cliente, partendo da una base concreta come potrebbe essere un theme per sviluppatori basato, per dire, in Bootstrap o su altri framework HTML analoghi.

    Come creare un theme child in WP?

    Per creare un theme child basta seguire i seguenti passi.

    1. creare una nuova cartella in wp-content/themes/ con un nome adeguato: se il theme in uso è /miotheme, un theme child potrebbe chiamarsi (ma non è obbligatorio inserire esplicitamente un nome con questo suffisso) /miotheme-child;
    2. creare un file style.css all’interno della cartella del child;
    3. creare un file functions.php inizialmente vuoto;
    4. editare come indicato il file style.css seguendo il modello riportato di seguito.

    Qui in basso trovate un modello base di style.css, da ricopiare o adattare al vostro caso.

    /*
     Theme Name:   Mio Theme Child
     Theme URI:    http://url.del.mio/theme
     Description:  Descrizione
     Author:       Mario Rossi
     Author URI:   http://mariorossi.qualcosa
     Template:     nome directory relativa del theme parent (nell'esempio è miotheme)
     Version:      1.0.0
     License:      GNU General Public License v2 or later
     License URI:  http://www.gnu.org/licenses/gpl-2.0.html
     Text Domain:  twenty-fifteen-child
    */

    Questo è il requisito base perchè il theme child venga riconosciuto da WordPress e sia utilizzabile, quindi, come tale. Tuttavia il processo non è sempre alla portata di tutti gli utenti, ed è facile sbagliare qualche passaggio anche per i meno esperti. La procedura a click singolo riportata di seguito, dunque, permette di automatizzare questo intero processo.

    Come creare un theme child in WP via plugin

    I passi da eseguire sono i seguenti:

    1. entrate come amministratori in WP, ed andate nella sezione Plugin;
    2. cliccate su Aggiungi nuovo;
    3. cliccate sulla casella di ricerca e cercate il plugin Child Themify (oppure scaricatelo da qui);
    4. installate il plugin con la procedura usuale (automatica o con file ZIP), ed attivatelo;
    5. siete pronti a cominciare: cliccate dal menù laterale su Aspetto e poi su Temi;
    6. cliccate sul theme che volete personalizzare (noterete la presenza di un nuovo bottone, Create a child theme: dovrete cliccare su quello);
    7. Si aprirà  una nuova finestra con una casella di testo: cliccateci, e scrivete il nome del child theme desiderato; cliccate su Let’s go per confermare la scelta.
    8. Finito: il theme child è stato creato col nome che avrete scelto, ed è pronto all’uso!
  • Come installare WordPress in locale

    Come installare WordPress in locale

    Perchè installare WP in locale

    Se vuoi sapere come installare WordPress su un pc in locale, sei arrivato nel posto giusto: in questo articolo fornirò tutti i dettagli necessari mediante una guida pratica. Va premesso che ad oggi le stesse procedure fatte direttamente su un servizio di hosting, ad esempio, potrebbero essere ancora più agevoli, per cui valutate sempre con attenzione.

    A volte ci serve disporre di WordPress per varie ragioni: ad esempio a scopo di test, o per sviluppare il nostro sito prima di pubblicarlo con calma e la dovuta attenzione. Installarlo in locale è, di fatto, l’ideale per queste ultime situazioni.

    Che cos’è XAMMP

    XAMMP è una soluzione di software bundle, cioè una suite di programmi che include di per sè tutto quello che ci serve per fare funzionare un sito WordPress in locale. È disponibile sia in versione free (gratis per gli sviluppatori) che in versione a pagamento o in cloud, utile per l’utilizzo professionale. XAMMP è comodo perchè installa in un colpo solo:

    • PHP
    • MySQL
    • Apache
    • NGINX

    I dettagli dell’articolo che vedrete i seguito sono stati aggiornati all’ultima versione di WordPress e di XAMPP; delle tante possibilità  di software con PHP MySQL Apache, la nuova versione di XAMPP è molto vantaggiosa, perchè offre sia PHP di ultima generazione (con la possibilità  di switchare le varie versioni) che Apache ed NGINX, volendo, che potrete testare localmente apprezzandole le prestazioni soprattutto (attenzione che va configurato a dovere che non sarà  più interpretato il file htaccess).

    Scaricare XAMPP

    La versione di XAMPP gratuita 7.2 (quella più recente al momento in cui scrivo) va bene per la maggioranza delle esigenze più concrete. Ecco il link per scaricarla:

    https://www.apachefriends.org/download.html

    Scaricatela e naturalmente installatela per il vostro sistema operativo: servirà  a fornirvi tutto quello che vi darebbe un servizio di hosting ma nell’autonomia e la tranquillità  di un ambiente locale. Se state installando WordPress su un PC, poi, ci sono distribuzioni che già  forniscono un server integrato adeguato.

    WordPress con Apache server

    Nello specifico, si tratta di installare e poi utilizzare Apache nella sua versione più recente (2.4 al momento in cui scrivo), con l’aggiunta del server di database MySQL (5.4, al momento) ed il motore PHP (dalla versione 7 in poi). Piuttosto che installare un pezzo per volta queste tre componenti, utilizzeremo (solo in locale, ovviamente) un componente bundle che integra tutte e tre in un colpo solo, ovvero XAMPP.

    WordPress con NGINX server

    In alternativa, si possono utilizzare NGINX come webserver alternativo (il che offre una serie di vantaggi, ma è molto diverso da Apache a livello di architettura), e varie versioni “alternative” di PHP e MySQL. In genere le opzioni standard di XAMPP vanno bene, il più delle volte e per la maggioranza dei casi: quindi installate tutto con le opzioni standard, senza pensarci troppo.

    Per inciso, eccovi alcuni pacchetti di installazione della “triade” in questione per qualsiasi altro sistema operativo:

    • Windows, Linux, MAC: XAMPP
    • Alternativa per Linux: LAMP (la “triade” in questione è preinstallata nei sistemi Ubuntu, di solito)

    Scaricare l’ultima versione di WordPress

    Installato l’ambiente di lavoro, xome seconda cosa dovrete procurarvi l’ultima versione localizzata in lingua italiana, che potete trovare a questo indirizzo:

    it.wordpress.org – WordPress in italiano

    Andate nella pagina e cliccate sul bottone blu con su scritto “Download WordPress x.y.z” dove x, y, z sono i numeri della versione corrente. Installate sempre l’ultima versione così sarete più al sicuro rispetto a bug e falle informatiche di vario genere.

    Al momento in cui scriviamo, la versione WordPress da usare è la 5.6 (o sue possibili derivazioni come 5.6.1, 5.6.2, ecc.)

    Scompattare WordPress in una cartella del vostro computer

    Una volta che scaricate il file (ad es. si chiamerà  wordpress_it_IT_x_y_z.zip), scompattatelo nella sua stessa cartella (che può avere lo stesso nome del file wordpress_it_IT_x_y_z, anche se di norma si chiamerà  /wordpress). In seguito andrete a spostare la cartella /wordpress all’interno della cartella dei file dei siti di XAMMP, che si chiamerà  htdocs e che dovrà  contenere /wordpress. In questo modo il sito sarà  raggiungibile da http://localhost:8888/wordpress, ad esempio.

    htdocs si trova in varie posizioni del sistema operativo: ad esempio se usate Ubuntu, corrisponde alla cartella

    /var/www/html/

    se invece usate Windows lo troverete nella cartella C:/Programmi/XAMMP, e se usate il Mac la troverete dentro la cartella compressa inclusa nel nome dell’app.

    Installare WordPress in locale, sul vostro PC

    Perchè WordPress possa funzionare in locale, sarà  necessario avere XAMPP o XAMMP o LAMP installati: faccio l’esempio sul PC (dove il programma utile, come abbiamo visto, che integra sia server che database, si chiama XAMPP), ma su Linux e Windows le cose non sono troppo diverse.

    Dopo aver installato il vostro bundle preferito, la prima cosa da capire è dove sono salvati i file del nostro sito: in questa cartella, infatti, dovremo copiare mediante copia-incolla via Gestione Risorse / Finder e simili i file di WordPress che abbiamo scaricato.

    Riporto quindi alcuni esempi di localizzazione della cartella del server, ovviamente dovrete valutare nel vostro caso quale possa essere quella corretta.

    • Linux: Apache utilizza /var/WWW come root, oppure /var/www/html/ in alcuni casi; è fondamentale che abbiate attribuito alla cartella i permessi idonei mediante un CHMOD 775.

    • Windows: la cartella viene selezionata da voi in fase di installazione di Apache, e cambia leggermente in base all’installazione.

    A questo punto rinominate la cartella wordpress in miositowp, espostate la cartella che avete rinominato (miositowp) nel path suggerito dai tre punti precedenti, a seconda dei casi.

    Ora, dovreste vedere dal browser tale cartella digitando localhost, qualcosa del genere:

    Screen 2015-07-20 alle 11.08.28

    Nel mio PC c’erano sono molte altre cartelle di lavoro, che qui vengono giustamente listate all’interno della root del sito; nel vostro caso, dovreste vedere solo miositowp ed eventualmente i file nascosti di sistema metadata, project e settings (ignorateli). Per avviare l’installazione di WordPress basta cliccare su miositowp, in questo esempio.

    Avvio dell’installazione di WordPress in locale

    La prima schermata che vi apparirà  è questa:

    Screen 2015-07-20 alle 11.09.56

    Vi viene premesso che WP ha bisogno di queste cinque informazioni per poter funzionare: nome del database, nome utente database (diverso dal nome utente con cui accederete al sito), password database, host del database e prefisso delle tabelle del db. Scorriamo in fondo alla pagina fino ad arrivare al bottone “Iniziamo“.

    Screen 2015-07-20 alle 11.11.46

    Cliccate sul bottone: vedrete comparire una finestra nella quale vi verranno “anticipati” i valori dei parametri visti poco fa cui avete bisogno. Tali parametri vengono usati da PHP per comunicare con MySQL, e ve li riporto di seguito scrivendo tra parentesi quelli che utilizzerò nella presente guida:

    1. Nome del database (in questo es. wptest)

    2. Nome utente del database (ad es. pippo)

    3. Password del database (ad es. pippopass76)

    4. Host del database (tipicamente localhost)

    5. Prefisso tabelle (ad es. wp_, ma è consigliabile scegliere un prefisso diverso fin da subito)

    Attenzione: la password in locale può essere scelta in modo relativamente più semplice, anche perchè per lavorare sul sito vi potrebbe spesso ricordarla a memoria. Quando passerete in produzione al sito online, ricordatevi di inserire password più complesse!

    Aspettate ad andare avanti perchè serve un passo ulteriore, prima di procedere oltre.

    Creazione di nome utente e database da phpMyAdmin

    Lasciate aperta la finestra di installazione di WordPress, ed aprite una nuova finestra del browser, e digitate http://localhost/phpMyAdmin/ (attenzione a M ed A maiuscole).

    Dalla finestra che dovrebbe comparire, cliccate su “localhost” dentro la finestra, poi in alto su Database, e digitate il nome del database nella casellina dove trovate scritto, di sopra, “Crea“.

    Come nome, chiaramente, dovremo inserire wptest: ecco la schermata di esempio.

    Screen 2015-07-20 alle 11.16.18

    Una volta creato il database, vedrete chiaramente che è vuoto: a popolarlo sarà  la procedura di installazione di WordPress, per cui non vi preoccupate di fare altro, se non un altro piccolo passo.

    Dovrete infatti creare un utente autorizzato a leggere e scrivere nel database in questione: per farlo cliccate su Privilegi e, in basso a destra, “Aggiungi utente”. Eviteremo, infatti, di utilizzare l’utenza di root per accedere al database, visto che non è una procedura molto safe dal punto di vista della sicurezza informatica.

    Screen 2015-07-20 alle 11.19.43

    Ecco la schermata che dovrebbe comparire:

    Siamo quasi arrivati: compilate i campi in questione, inserendo ad es. pippo come nome utente, localhost come Host (ricordatevi di inserirlo), pippopass76 come password per due volte consecutive (Password e reinserisci), e lasciate pure vuoto l’ultimo campo (a meno che, in alternativa, non vogliate che WordPress generi per voi una password casuale, cliccando per l’appunto il tasto “Genera“).

    Configurazione database via phpMyAdmin

    Entrate nuovamente su http://localhost/phpMyAdmin/

    Nel campo “Database per l’utente” selezionate Garantisci tutti i privilegi per il database “wptest”.

    Screen 2015-07-20 alle 11.22.44

    Infine nella parte finale del form potetelimitarvi a selezionare soltanto i privilegi essenziali (le caselle sotto “Dati ” e di “Struttura” seguenti: SELECT, INSERT, UPDATE, DELETE, FILE, CREATE, ALTER, INDEX, DROP, per WordPress dovrebbero essere sufficenti).

    Dopo aver confermato col tasto “Esegui” in basso nella finestra, vedrete qualcosa del genere: dovrebbe apparire il messaggio “Hai aggiunto un nuovo utente“.

    Screen 2015-07-20 alle 11.25.02

    Adesso siete pronti per installare WordPress sul vostro PC tornando alla finestra che avevate lasciato aperta.

    La compilazione dei campi richiesti da WordPress dovrebbe essere immediata, sulla base di quanto abbiamo fatto finora: per maggiore chiarezza riporto un’ulteriore immagine esplicativa.

    Screen 2015-07-20 alle 11.26.09

    Se tutto va nel verso giusto dopo aver cliccato su “Invio“, dovrebbe comparire una nuova finestra che vi invita a continuare l’installazione, affermando che tutto è ok fino a quel momento (in pratica il file wp-config.php è stato creato correttamente). Per installare WordPress, cliccate sul bottone apposito!

    Screen 2015-07-20 alle 11.31.24

    Fatto questo, vi restano soltanto i campi descrittivi del blog da compilare a piacere, facendo attenzione ad inserire una vostra mail valida e soprattutto a prendere nota di username e password amministrativa dopo averle scelte. Visto che si tratta di un’installazione in locale, vi suggerisco di deselezionare la casella “Voglio che il mio sito appaia su motori di ricerca come Google e Technorati.“.

    Fate click su “Esegui l’installazione“, ed avete finito!

    WordPress in locale e SSL / HTTPS

    In genere non trovo necessario installare HTTPS in locale, anche perchè non ha molto senso farlo – se non a scopi di sperimentazione – e, soprattutto, HTTPS deve funzionare su un servizio di hosting. Quindi tanto vale lavorare in HTTP in locale, e poi migrare il sito in HTTPS una volta in produzione sul dominio finale e dopo aver effettuato la migrazione del sito.

    Farlo funzionare in locale, del resto, comporta quasi sempre l’utilizzo dei certificati auto-firmati, e si pone comunque il problema che un certificato anche gratuito con Let’s Encrypt ha comunque bisogno di un nome di dominio per poter funzionare (su localhost, in sostanza, non funzionerà ).

    Per saperne di più su HTTPS, leggete l’ultima guida che ho postato nel sito.

    Conclusioni

    Il vostro sito WordPress in locale sarà  visibile da http://localhost/miositowp, mentre l’amministrazione sarà  accessibile da http://localhost/miositowp/wp-admin (oppure su http://localhost/miositowp/wp-login.php).

    Attenzione perchè il prefisso dell’URL base localhost può essere cambiato da XAMPP in localhost:8888 o qualsiasi altra porta vogliate, per cui assicuratevi sempre di accedere nel modo corretto.

  • VPS o hosting condiviso: quale scegliere per WordPress?

    VPS o hosting condiviso: quale scegliere per WordPress?

    A volte la scelta dell’hosting può essere davvero complicata: oltre ad esserci una gamma di piani di hosting differenti come prezzi e caratteristiche, non esiste una terminologia sempre adeguata al contesto. Si pensa più a fare marketing e ad abbagliare l’utente finale con cose tipo “banda illimitata” o “spazio web senza limiti”, senza metterlo di fronte ad una scelta realmente concreta ed utile per i suoi obiettivi. L’obiettivo in molti casi è quello di hostare un semplice sito, giusto? Può una cosa così semplice, almeno in apparenza, essere tanto complicata? Evidentemente sì, per cui è il momento di affrontare il discorso sotto una prospettiva rinnovata e comprensibile per utenti finali tecnici (e meno tecnici).

    È preferibile fare uso di un hosting condiviso o un VPS per il tuo sito in WordPress? Ecco come scegliere e quali criteri tenere in considerazione.

    Generalità  sugli hosting condivisi

    Cerca tra gli hosting condivisi di questo sito

    Quando compriamo un servizio di hosting condiviso, in sostanza, ci stiamo procurando una serie di servizi tendenzialmente a costi contenuti, che prevedono:

    • la disponibilità  di un server web, come ad esempio NGINX o Apache; tali servizi sono tipicamente configurabili solo in parte, e si possono personalizzare poco o nulla (ad esempio, in molti casi, non potete aggiungere un modulo Apache o attivarlo voi, se non è disponibile nativamente)
    • la disponibilità  del linguaggio PHP in una versione recente stable; in genere in questi casi i servizi condivisi forniscono uno switcher per cambiare versione (da PHP 7.1 a PHP 5.6 ad esempio, e viceversa);
    • il supporto di almeno un database server MySQL, con almeno un database che potrete popolare per il vostro sito coerentemente con lo spazio messovi a disposizione dall’hosting;
    • la disponibilità  di spazio web per i file del vostro sito, che potrebbe essere teoricamente senza limiti (anche se questa opzione in realtà  non è realistica, come visto in altre occasioni)
    • la presenza di altri servizi opzionali come il supporto a linguaggi di programmazione per il web come Perl o Python, i log automaticamente generati dal server e così via.

    In quest’ottica appare chiaro che il servizio è semplice solo in apparenza, e che in molti casi vale la pena spendere qualcosa in più per avere a disposizione maggiore qualità  in fatto di hosting. Dipende dal progetto e dalla sua importanza, dai suoi requisiti in fatto di stabilità , dal tipo di traffico che vi arriva e dalla frequenza di arrivo dei visitatori: ad esempio se scrivete per un blog che commenta l’attualità  o che pubblica argomenti molti richiesti dalle ricerche su Google, le visite possono arrivare automaticamente in grande numero. Potrebbe quindi essere richiesto, oltre una certa soglia, di passare ad un servizio di hosting più avanzato, ed è qui – in certi casi, ovviamente- che entra in gioco la VPS.

    Generalità  sui VPS

    Cerca tra gli hosting VPS di questo sito

    Una VPS o Virtual Private Server è un servizio più flessibile del classico hosting condiviso: questo perchè offre maggiori opzioni di configurabilità , e permette di attivare servizi su richiesta come il precedente tipo di servizio, invece, non permette. Abbiamo visto nella lista di requisiti precedenti alcuni punti che erano in qualche modo limitati: della serie, gli hosting condivisi permettono di cambiare versione di linguaggio PHP per venire incontro alle esigenze più varie, ma non permettono ad esempio di riavviare il server NGINX o Apache in casi di un problema critico. Altro problema è che lo spazio web è spesso limitato a quello che ci danno all’inizio, e per averne di più una volta che l’abbiamo finito siamo costretti a fare un upgrade e pagare di più.

    Con le VPS possiamo economizzare le risorse sia in termini tecnologici che di soldi spesi, in sostanza: un VPS ci fornisce un accesso al sito mediante SSH, ovvero terminale remoto, ed all’interno avremo un sistema operativo tutto per noi pronto all’uso. In esso potremo riavviare su richiesta il server Apache con una semplice linea di comando, installare moduli aggiuntivi per il nostro sito, inserire un supporto nativo a Let’s Encrypt o installare certificati di qualsiasi genere, pianificare cron-job di ogni genere e così via. Ovviamente acquistare un VPS per WordPress prevede che abbiate delle competenze tecniche di natura leggermente superiore alla media richiesta per gestire un hosting condiviso, considerando che ormai questi servizi sono meno ostici di qualche anno fa (in cui davano le macchine “nude” e configurarle a dovere non era uno scherzo) e vengono fornite VPS per WordPress quasi già  pronte all’uso con server e tutto: è il caso di DigitalOcean, un servizio di VPS che ho testato di recente e che mi ha convinto per il suo mix di potenza e spesa contenuta (ne ho parlato per esteso nella recensione del servizio).

    Molti webmaster che usano un condiviso da anni tendono a prendere in considerazione l’opzione di passare ad una VPS, proprio per la sua naturale scalabilità . Scalare i servizi significa anzitutto poter disporre di tutti quelli che si vogliono; poi implica anche avere più spazio a disposizione, più banda, più potenza di CPU. Molte VPS fanno scegliere dall’inizio quante CPU usare e quanta RAM avere a disposizione, e questo corrisponde con il noleggio di vere e proprie macchine virtuali che potete usare per configurarci sopra i vostri siti in WordPress. Tutto bello e semplice da usare, insomma, se non fosse che qualche competenza tecnica è sempre necessaria, anche se l’assistenza è molto cresciuta a mio avviso per questo genere di servizi, e non c’è dubbio che possa diventare uno standard tra qualche anno.

    Una VPS è a metà  strada tra hosting condiviso e hosting dedicato, ed in molti casi riesce a sopperire alle necessità  di entrambi, trovando il giusto compromesso tra prezzo, usabilità  del servizio e disponibilità  dello stesso.

    Pro e contro dei servizi di hosting condiviso e delle VPS

    A questo punto dovrebbe essere chiara la differenza tra un tipo di servizio e l’altro; mi pare utile, pertanto, mettere a confronto pro e contro dell’uno e dell’altro tipo di hosting.

    Pro degli hosting condivisi

    • Facili da usare
    • Facili da mantenere, anche per i principianti e non tecnici
    • Solitamente poco costosi (intorno alle 100-150 euro all’anno)
    • Stabili e sicuri
    • Idonei anche per blog con un numero medio-alto di visitatori

    Contro degli hosting condivisi

    • Non danno molte opzioni configurabili, quindi devi prenderli ed accettarli così come sono (con qualche eccezione, per la verità: ad esempio SupportHost fornisce hosting condivisi avanzati con supporto SSH, che li rende quasi equivalenti ad un VPS – a livello di controllo)
    • Le risorse hardware saranno condivise con altri siti diversi dal tuo; questo, a volte, può comportare problematiche di efficenza (le risorse non saranno mai tue al 100%) e di sicurezza, in certi casi
    • In caso di picchi di traffico su più siti contemporaneamente, può succedere che il tuo ne risenta in termini di velocità  di caricamento delle pagine, sovraccarico del database, sovraccarico del traffico di rete o della CPU e così via.

    Vediamo pro e contro delle VPS, invece.

    Pro degli hosting VPS

    • Ci sono VPS molto economiche in giro (ad esempio Vultr): a volte costano esattamente quanto un condiviso, ma anche meno
    • Ti faranno scegliere liberamente che sistema operativo utilizzare (Debian, Ubuntu, ecc.)
    • Potrai installare i moduli aggiuntivi che ti servono, liberamente e senza limiti;
    • Non avrai limiti di prestazioni sul tuo sito, che disporrà  generalmente di tutte le risorse che gli servono (per quanto esse siano virtualizzate, non hardware)
    • Quelle di qualità  non prevedono rischi per la sicurezza informatica, cioè sono anche ben mantenute dal provider come update e protezioni
    • In genere, infine, presentano risorse come CPU e RAM scalabili sulle nostre effettive necessità : ovvero paghiamo solo quello che effettivamente utilizziamo.

    Contro degli hosting VPS

    • A conti fatti, e soprattutto a regime di utilizzi, finiscono per costare qualcosa in più: questo perchè se i servizi base costano poco, quelli che poi servono a fare fronte ai costi effettivi su un traffico reale (migliaia di visitatori giornalieri, ad esempio) tendono a far lievitare, seppur leggermente, i costi
    • Devi essere in grado di dimensionare correttamente il server, altrimenti rischi di pagarle a vuoto o di soffrire comunque limiti di prestazioni
    • Le conoscenze tecniche che servono per gestirle non sono banali
    • Le conoscenze tecniche che servono a mantenerle nel tempo, poi, non sono neanch’esse banali

    In breve, quindi, una VPS offre di più ed è un po’ più complicata da gestire; un hosting condiviso è invece più facile da gestire e costa meno, ma offre ovviamente meno in termini di tecnologia e performance generali del sito.

    Quale scegliere tra VPS e condivisi?

    A questo punto la domanda cruciale potrebbe riguardare l’opportunità  di migrare ad un VPS da una soluzione di hosting condivisa. Prima di tutto, pero’, cerchiamo di chiarire il punto fondamentale: se lo facciamo avremo buone possibilità  di migliorare le prestazioni del nostro sito web, ammesso che lo stesso sia realizzato a regola d’arte e non abbia problemi di altro genere, ed ammesso che siamo disposti a sporcarci le mani un po’ di più (tecnicamente parlando, ovviamente).

    Chiarito questo, il passaggio potrà  avvenire sullo stesso servizio di hosting, oppure passando ad un altro servizio di hosting. Nel primo caso è facile perchè sarà  il nostro attuale servizio a guidarci, nel secondo invece dovremo fare tutto da soli.

    Il passaggio da hosting condiviso a VPS comporterà , in media:

    • una spesa leggermente maggiore nel lungo periodo, in media;
    • una resa superiore a qualsiasi hosting condiviso, in media;
    • maggiori servizi configurabili a disposizione, basati quasi sempre sull’uso corretto del terminale remoto SSH;
    • una maggiore velocità  di caricamento delle pagine, in particolare una riduzione considerevole del TTFB (Time To First Byte, il tempo necessario perchè il caricamento della pagina abbia inizio a partire dalla prima richiesta del client)
    • sono particolarmente adatte se prevedi, nel breve periodo, un incremento di traffico difficilmente quantificabile, a cui i servizi di VPS possono facilmente fare fronte
    • imparare qualcosina a livello tecnico, e saperla applicare nella massima consapevolezza.

    Per farti un’idea dei piani di hosting disponibili, confronta i servizi di hosting su questo sito oppure guarda le migliori offerte sia di VPS che di condivisi.

    Considerazioni finali

    La scelta del servizio di hosting può avere un impatto considerevole sul successo del tuo sito in WordPress, sulle sue prestazioni e sulla qualità  generale del servizio. Le VPS non sono la soluzione per qualsiasi sito in WP, ma sono certamente un’opportunità  da sfruttare per i più ambiziosi. In genere, del resto, le soluzioni di hosting condiviso sono più evolute di qualche anno fa, e si fanno utilizzare tranquillamente da qualsiasi webmaster.

    In sintesi abbiamo che:

    • hosting condivisi: vanno bene per la maggiorparte dei siti web in WordPress, ma non sempre si possono personalizzare come vorremmo. Non richiedono competenze tecniche troppo elevate: basta saper utilizzare FTP, MySQL e poco altro. Mettono a disposizione una quantità  limitata di risorse, permettono di installare e mantenere facilmente WP e forniscono, al tempo stesso, risorse effettivamente sfruttabili il più delle volte limitate
    • hosting VPS: vanno bene per la una discreta parte di siti in WordPress, si possono personalizzare come vogliamo ma richiedono un tasso di competenze tecniche superiori alla media (su tutti: uso di terminale remoto SSH). Mettono a disposizione una quantità  superiore di risorse, si possono scalare facilmente sulle specifiche necessità  (se arriva più traffico del solito, ad esempio, possiamo pensare di aumentare la RAM, ad esempio).
  • Come usare WordPress (per principianti)

    Come usare WordPress (per principianti)

    Introduzione

    Con questa guida cercheremo di capire meglio come utilizzare al meglio WordPress, sfruttandone appieno tutte le potenzialità  – che sono davvero tante, e sono in crescita esponenziale man mano che escono fuori nuove versioni. Se invece vuoi semplicemente conoscere meglio Gutemberg, il nuovo editor di WP, leggi qui.

    Concetti base su WordPress

    Ci sono poche cose da sapere, di base: WordPress è un CMS (cioè un gestore di contenuti per il web, o Content Management System) pensato per l’utente medio, quindi non necessariamente uno specialista dello sviluppo web o un tecnico, che permette di pubblicare tre tipologie di contenuti sul web:

    • Media, ovvero immagini, documenti e video;
    • Articoli, cioè ad esempio quelli del tuo blog
    • Pagine, ovvero Chi siamo, informazioni sulla tua azienda e così via.

    I tre tipi di contenuto indicati sono, prima di tutto, combinabili tra di loro: possiamo pubblicare un articolo con delle immagini al proprio interno, ad esempio, o fare sì che le nostre pagine contengano video, documenti in allegato e così via. Al tempo stesso, ovviamente, non tutte le combinazioni hanno senso (non possiamo includere un’articolo dentro un’immagine, ad esempio), ma il bello di WordPress è anche che possiamo estendere questi contenuti: mediante specifici theme o plugin, infatti (di cui parleremo più avanti) possiamo introdurre non solo articoli ma anche prodotti da vendere sul web.

    WordPress, una volta aperto, fornisce un’interfaccia interna detta backend ed una esterna detta frontend: il comportamento di ognuna di essere è regolamentato da come abbiamo configurato il sito, che di base si presenterà  come un semplicissimo blog con qualche post e pagina di esempio, e poco altro. Per estendere queste funzionalità  bisognerà  ricorrere a theme (cioè grafica del nostro sito, di colori e forme differenti ed adatte a magazine online, aziende commerciali, blog, siti di fotografi e così via) e plugin (ovvero funzionalità  esterne per avere “doti” e capacità  aggiuntive nel sito).

    Chiarito questo vediamo fattivamente come creare le nostre pagine.

    Differenza tra articoli e pagine

    Questa è una cosa che confonde molto spesso i principianti, ma in realtà  la differenza è semplice:

    • gli articoli sono i contenuti del nostro sito, quindi ad esempio le news o quello che decidiamo di pubblicare volta per volta; appariranno in un flusso continuo nel sito, un post per volta, in ordine temporale inverso (quindi dall’ultimo al primo, a scendere).
    • Le pagine, invece, sono contenuti statici ed isolati, che non faranno parte del “flusso” pubblicato nella pagina del blog.

    Come fare login

    Partiamo dall’attività  più semplice, ovvero creare pagine web nel nostro sito; una volta che siamo dentro l’interfaccia di amministrazione, che troveremo per tutti i siti web all’indirizzo:

    tuosito.it/wp-admin

    oppure

    tuosito.it/login

    oppure, ancora:

    tuosito.it/wp-login.php

    ed avremo inserito correttamente username (oppure email) e password, saremo pronti a cominciare il lavoro di pubblicazione.

    Come creare pagine

    All’interno dell’interfaccia di amministrazione (backend) troveremo un menù laterale con su scritto Bacheca in bianco, e poi una colonna nera; la seconda voce dovrebbe essere articoli, la terza pagine – ecco quella che ci interessa. Clicchiamoci, e poi selezioniamo Aggiungi pagina.

    All’interno troverete un editor tipo quello di Word, che dovrebbe essere molto semplice da utilizzare; con WordPress 5 le cose sono un po’ cambiate e si ragiona per blocchi, dove un blocco può essere un’immagine, un paragrafo di testo e così via (leggi qui come usare Gutemberg). Se invece usate ancora WP 4, troverete un editor con i vari tasti di formattazione (Paragrafo, titoli, B per grassetto, I per corsivo) poi liste, liste numerate, citazioni, allineamento del testo, link (l’icona con la catenella) e così via.

    Scrivete quello che volete pubblicare sul vostro sito dentro la pagina, ad esempio un testo di prova. Poi ricordatevi di aggiungere un titolo alla pagina, che è la prima cosa che gli utenti vedranno. Sotto la sezione Pubblica, sulla destra, troverete:

    • Salva Bozza per salvare il lavoro svolto senza pubblicarlo;
    • Anteprima per vedere come verrà  fuori sul sito;
    • Pubblica per pubblicare l’articolo e renderlo pubblico.

    Stato, visibilità  e pubblica servono a cose precise ed è bene non toccarli, per adesso. Stato indica se la pagina è una bozza, se è da revisionare (questo avviene se, ad esempio, ci sono più autori sul blog), e pubblica qui permette di pianificare in automatico la pubblicazione della pagina.

    Come creare articoli

    Se avete capito come funziona l’editor di pagine, per i post è uguale: l’unica cosa che cambia è come compariranno all’interno del sito. All’interno dell’interfaccia di amministrazione (backend) troveremo un menù laterale con su scritto Bacheca in bianco, e poi una colonna nera; la seconda voce dovrebbe essere articoli – ecco quella che ci interessa. Clicchiamoci, e poi selezioniamo Aggiungi articolo.

    All’interno troverete ancora una volta un editor tipo quello di Word, che dovrebbe essere molto semplice da utilizzare; con WordPress 5 le cose sono un po’ cambiate e si ragiona per blocchi, dove un blocco può essere un’immagine, un paragrafo di testo e così via (leggi qui come usare Gutemberg). Se invece usate ancora WP 4, troverete un editor con i vari tasti di formattazione (Paragrafo, titoli, B per grassetto, I per corsivo) poi liste, liste numerate, citazioni, allineamento del testo, link (l’icona con la catenella) e così via.

    Scrivete quello che volete pubblicare sul vostro sito dentro la pagina, ad esempio un articoletto di prova. Poi ricordatevi di aggiungere un titolo al post, che è la prima cosa che gli utenti vedranno. Sotto la sezione Pubblica, sulla destra, troverete:

    • Salva Bozza per salvare il lavoro svolto senza pubblicarlo;
    • Anteprima per vedere come verrà  fuori sul sito;
    • Pubblica per pubblicare l’articolo e renderlo pubblico.

    Stato, visibilità  e pubblica servono a cose precise ed è bene non toccarli, per adesso. Stato indica se la pagina è una bozza, se è da revisionare (questo avviene se, ad esempio, ci sono più autori sul blog), e pubblica qui permette di pianificare in automatico la pubblicazione della pagina.

    Come aggiungere un’immagine ad articoli e pagine

    Si possono ovviamente aggiungere immagini all’articolo: ma non bisognerà  andare nella colonna nera stavolta. Basterà  cliccare su Aggiungi Media giusto sopra l’editor di formattazione, e poi scegliere il file di immagine da caricare da lì. WordPress in genere accetta sia immagini come JPG e PNG che SVG che file PDF o documenti. La procedura di inserimento è guidata, e dovrebbe essere piuttosto semplice da eseguire.

    Salvate sempre una bozza quando siete nell’editor: se dimenticate di farlo, WP ne salverà  una per voi in automatico, di solito ogni minuto o due.

  • Problema LCP: tempo superiore a 4 s (dispositivi desktop), cosa fare

    Problema LCP: tempo superiore a 4 s (dispositivi desktop), cosa fare

    Se vedi un errore nel Rapporto Segnali web essenziali del tuo sito che riporta un Problema LCP: tempo superiore a 4 s (dispositivi desktop), ecco cosa puoi provare a fare per risolvere.

    Aggiornamento (2024)

    Gli aspetti operativi relativi a questa metrica sono da sempre controversi, al punto che Google stessa ha riconosciuto che i parametri che venivano utilizzati in precedenza per misurare questo aspetto nello specifico erano fallati. Un articolo molto illuminante su web.dev (link) ha chiarito solo in tempi molto recenti una serie di aspetti basilari. Di suo, leggiamo, la metrica LCP indica il tempo di rendering del blocco di immagine o di testo più grande visibile nell’area visibile, relativo alla prima visita dell’utente alla pagina.

    Va pertanto considerato il tempo per visualizzare la pagina al netto della cache, per la prima volta in cui viene elaborata la stessa, senza considerare gli “alleggerimenti” del carico che sono previsti dalla cache stessa, comunque sia stata implementata, solo dalle volte successive alla prima che proviamo ad aprirla. Non c’entra, quindi, con la semplice attivazione della cache. Il blocco di immagine o di testo più grande è nello specifico, un tag come <img>, <video>, <svg> / <image>, uno sfondo caricato via CSS con url() oppure, ancora, un blocco di testo (a livello di blocco). Bisogna considerare il più grande presente nella pagina, quindi ad esempio per ottimizzare le pagine degli articoli del sito bisognerà intervenire sull’immagine dell’articolo stesso, assicurandosi primariamente che non sia troppo grande o che, in alternativa, sia caricata in formato ottimizzato (spesso webp è un buon compromesso per farlo, se non è troppo complesso farlo funzionare sul proprio server web).

    A livello di prestazioni, leggiamo ancora, LCP include il tempo di unload dalla pagina precedente, il tempo di configurazione della connessione, il tempo di reindirizzamento e il tempo per il primo byte (TTFB), tutti elementi significativi se misurati sul campo e che possono generare differenze tra le misurazioni sul campo e quelle di laboratorio.  Il problema di migliorare LCP si ridurrebbe quindi, in linea di massima:

    1. a migliorare il TTFB;
    2. a ridurre i tempi di accesso alla rete (es. adottando Cloudflare);
    3. ad ottimizzare/ridurre l’immagine più grande presente nell’articolo (anche articoli troppo lunghi possono causare il problema e vanno, per questo, spezzati, ridotti e/o paginati)

    Che cosa indica questo errore?

    Questo errore è abbastazan difficile da trattare, in genere: se è vero che dipende dalla “lentezza del sito”, pensare che si tratti solo di questo è abbastanza semplicistico e spesso non risolutivo. La notifica Problema LCP: tempo superiore a 4 s (dispositivi desktop) indica questo:

    1. c’è un problema su uno specifico URL del sito (lato desktop, ovviamente)
    2. esiste un problema LCP, acronimo di Largest Contentful Paint ovvero Visualizzazione elemento di massima dimensione.

    Google utilizza ad oggi il seguente criterio per stilare i rating dei Segnali web essenziali, che combinano problemi di usabilità  del sito con quelli di velocità  di caricamento non solo del server ma anche delle singole componenti HTML del DOM (CSS, JS, PHP ecc.).

    Considerato “veloce”
    Richiede miglioramentiScadente
    LCPal massimo 2,5 sal massimo 4 spiù di 4 s
    FIDal massimo 100 msal massimo 300 mspiù di  300 ms
    CLSal massimo 0,1al massimo 0,25 spiù di  0,25

    Se la classica contromisura in questi casi è quella di cambiare hosting e prendere un server più veloce, spesso questo non basta nel 100% dei casi per risolvere il problema. Per risolvere un LCP bisogna, infatti, intervenire sulla struttura interna del sito a livello di componenti e plugin usati, e a volte anche di tema grafico.

    L’errore viene notificato tipicamente nella search console di Google, ma può apparire anche all’interno del tool per il PageSpeed Insights. Gli URL notificati in questa veste possono, in teoria, ricevere un ranking più basso a livello di Google, tanto più che i Segnali web essenziali sono ormai, da aprile 2021, un fattore di posizionamento SEO a tutti gli effetti.

    Cosa vuol dire LCP

    LCP è un concetto forse poco intuitivo e ben poco visuale, utilizzato all’interno del cosiddetto CrUX di Google Chrome per definire usabilità  effettiva del sito mediante un algoritmo di rating. La Largest Contentful Paint rappresenta, intuitivamente parlando, il tempo richiesto per visualizzare l’elemento più grande della pagina web nell’area del dispositivo, senza effettuare scrolling.

    In genere, tale elemento è quasi sempre un’immagine di copertina (se troppo grande, ad esempio) oppure un video oppure, ancora, un testo di heading di dimensioni troppo grandi. LCP è anche una metrica aggregata (LCP agg) e rappresenta lo stato del 75% delle visite rilevate al sito, solo per i siti che già  producano abbastanza visite, ovviamente.

    Come risolvere il problema

    Non esiste una strategia one shot o a “colpo sicuro” per risolvere questo problema, purtroppo: in genere bisogna valutare caso per caso, e deve essere il webmaster (o possibilmente chi ha realizzato il sito o il theme) a risolvere. Alcune strategie che si possono usare in questi casi sono:

    • ridimensionamento delle immagini (via GIMP e photoshop, non semplicemente da CSS);
    • eliminazione del JS e del CSS di troppo o che genera errori o inutili attese:
    • attivazione cache su video o immagini (mediante CDN, per esempio).

    Non mi meraviglierebbe troppo che anche effettuando le modifiche iniziali non cambi nulla: questo dipenda da una sorta di feature (o di bug) del PSI che tende a funzionare male o dare un’idea fuorviante se testiamo lo stesso URL più volte. In genere io procedo a fare debug a campione, su vari URL diversi, anche per avere un’idea generale e perchè di solito le modifiche che faccio dovrebbero intervenire su tutto il sito e non solo sulle singole pagine.

    Se avete voglia di sperimentare e siete abbastanza esperti, potete usare il plugin di gestione degli asset CSS e JS, che (almeno per i siti fatti in WordPress) spesso si rivela risolutivo.

  • Errore 525 CloudFlare: cosa indica, come risolverlo (SSL handshake non riuscito)

    Errore 525 CloudFlare: cosa indica, come risolverlo (SSL handshake non riuscito)

    Se stai vedendo questa schermata di CloudFlare con errore 525 / SL handshake non riuscito, ad esempio, mentre provi ad accedere ad un sito web, leggi questa guida e capirai meglio di cosa si tratta.

    Possibili cause dell’errore 525 / SL handshake non riuscito

    Alla base di questo errore troviamo di solito un problema legato ad un handshake fallito, cioè qualcosa che va storto durante la fase di riconoscimento ed autenticazione tra server e client. Il problema risiede comunque nel server, essendo un codice che inizia con “5” che indica errori lato server (se fosse un errore lato client, inizierebbe con un numero diverso come “4”). Il client, quindi, di suo, potrebbe non poter fare nulla per risolvere, e la soluzione sarà  da ricerca sul server, ad esempio in termini di:

    1. cattiva configurazione della suite SSL / TLS (un bug su OpenSSL, ad esempio);
    2. problema di funzionamento della suite crittografica di altro genere;
    3. mancato supporto delle caratteristiche della crittografia tra client e server (mismatch);
    4. certificato invalidato o scaduto (in questi casi dovremmo pero’ vedere errori più specifici).

    Soluzione dell’errore 525

    Lato CloudFlare per il sito che sta dando questo errore, potete provare a:

    • abilitare la modalità  sviluppatore;
    • disabilitare temporaneamente la cache;
    • cancellare la cache (fig. 1)
    • cambiare la configurazione della crittografia, provando a vede se l’errore sparisce passando a Disattivato, Flessibile, Completo e Completo -Strict (fig. 2); attenzione: potrebbe anche essere necessario rifare daccapo la configurazione SSL di CloudFlare.
    Fig. 1 – Clicca per ingrandire

    Fig. 2: le varie modalità  di funzionamento di SSL / TLS per CloudFlare. Switchando dall’una all’altra potrete capire meglio come risolvere il problema in questione, anche se ovviamente soltanto una è quella corretta e, in genere, è possibile che non si risolva semplicemente così.

    Che cosa indica un handshake durante una comunicazione tra client e server?

    Un handshake (letteralmente una “stretta di mano”, handshake) si verifica in una circostanza più comune di quanto possa sembrare: un client, come un browser, prova ad accedere su protocollo sicuro TLS o SSL ad un sito web.

    Come primo passo, pertanto, il browser interroga il server di origine del sito, invia una richiesta, il server risponde “OK” e poi si instaura la connessione mediante una “stretta di mano” in tre passi (three-way handshake). Gli handshake rispetto a TLS si verificano specificatamente quando si prova ad aprire una connessione di tipo TCP, quale che sia la natura della richiesta: pagina web, web service e così via.

    Un errore del tipo SSL handshake non riuscito indica che qualcosa in questo processo è saltata, e bisognerà  quindi capire di che cosa si tratta.

    Photo by Sebastian Herrmann on Unsplash

  • Come usare sips per comprimere le immagini sul Mac

    Come usare sips per comprimere le immagini sul Mac

    Se ammettiamo di voler ottimizzare le immagini del nostro blog in WordPress, in modo che globalmente possano caricare più velocemente, dovrete in questo caso disporre di un Mac con FileZilla installato. Sfrutteremo il comando sips, poco conosciuto ma molto utile dal terminale Apple per comprimere in blocco tutte le immagini che avremo scaricato. Comprimere le immagini non è uno scherzo, infatti, e non può essere fatto sfruttando i soliti programmi per ZIP o RAR; con questo sistema invece risolveremo molto rapidamente ed in modo abbastanza efficente.

    La prima cosa da fare è scaricare il contenuto della cartella /wp-content/uploads del nostro sito. WordPress, infatti, inserisce tutti i media che carichiamo qui dentro, e sfruttando sips potremo facilmente definire delle regole di compressione dei file che non degradino la qualità  per l’utente medio.

    Cosa ci serve

    Per effettuare questa operazione è necessario saper usare il terminale del Mac, e saper maneggiare la sintassi dei comandi mediante esso. Ovviamente in questo contesto serve un Mac, poichè il comando sips fa parte esclusivamente del suo terminale (documentazione di sips).

    Come comprimere i file di immagine in blocco

    Il procedimento di compressione è il seguente:

    1. scarichiamo quindi i file della cartella nel nostro hard disk del Mac, via FTP;
    2. apriamo il terminale, e raggiungiamo esattamente il percorso (path) dove abbiamo scaricato i file mediante cd /nome/del/path;
    3. facciamoci una copia di backup della cartella, in modo da tenerla a portata di mano se la qualità  fosse troppo degradata
    4. lanciamo in maniera ricorsiva sips (vedi oltre), ad esempio in combinazione con la funzione find del terminale stesso;
    5. confrontiamo le dimensioni delle cartelle con quelle della copia originale, per essere sicuri che sia stata ridotta;
    6. verifichiamo che la qualità  non sia degradata troppo: per farlo, ordiniamo i file nella cartelle delle immagini scaricate dalla più piccola, in modo che sia subito evidente se abbiamo fatto “danni” e se ci siano immagini troppo “pixellose”;
    7. se il risultato ci soddisfa, carichiamo le immagini nella stessa cartella del sito via FTP;
    8. diversamente, cancelliamo la cartella che non serve più, facciamo una nuova copia da quella fatta al punto 3, e riprendiamo il procedimento dal punto 4 in poi.

    Come effettuare la compressione?

    Premettiamo il comando base di ricerca di tutti i file JPG, e poniamo di eseguirlo dentro la cartella root che le contiene tutte:

    find . -type f -name '*.jpg'

    La sintassi base del comando sips che sfrutteremo in questa sede è la seguente:

    sips -s formatOptions [1-100] --resampleHeight [risoluzione] {} \;

    ovvero comprimi (sips) settando la proprietà  (-s) formato compresso del [1-100] %, e ricampiona il file ad un’altezza massima di [risoluzione] pixel. Per eseguire un comando sui file trovati, infine, basta usare l’operatore -exec di find. Sembra complicato, forse, ma una volta compreso capirete quanto possa essere veloce e potente questo comando, più di qualsiasi software automatico attualmente esistente, credo.

    Ci sono a questo punto varie opzioni da prendere in considerazione: ad esempio, potreste pensare di comprimere tutti i file ad altezza massima 960px (limite massimo per la visualizzazione nei dispositivi Apple), comprimendo in misura massima dell’80% per non degradare troppo l’immagine:

    find . -type f -name '*.jpg' -exec sips -s formatOptions 80 --resampleHeight 960 {} \;

    decidere di applicare la compressione solo ai file di immagini superiori ad un mega (in tal caso comprimeremo di più):

    find . -type f -size +1M -name '*.jpg' -exec sips -s formatOptions 35 --resampleHeight 960 {} \;

    Combinare diversamente le varianti del comando, a seconda del vostro caso: tenete conto che troppe compressioni di file rischiano facilmente di degradare la qualità  del file. Da valutare in alcuni casi l’opzione per rimuovere i dati EXIF dalle foto in JPG, dato che quasi sicuramente non vi serviranno:

    find . -type f -name '*.jpg' -exec sips sips --deleteColorManagementProperties {} \;
  • Come aggiungere la favicon ad un sito WordPress

    Come aggiungere la favicon ad un sito WordPress

    Che cos’è una favicon

    La favicon (favorite icon, icona preferita) è un’icona, ovvero un file immagine con estensione .ico o .png, che si pone nella cartella root del nostro server al fine di essere mostrata ai visitatori mediante browser. Di solito si tratta di un’immagine rappresentativa del sito in questione, che può richiamare il logo del portale o un altro elemento fortemente caratterizzante. La maggioranza dei browser in circolazione è in grado di visualizzare questo elemento, a fianco della barra degli indirizzi o (come avviene in Firefox) a fianco del titolo della pagina.

    Come inserire una favicon nel markup HTML

    Secondo il W3C, questo tipo di elemento per essere implementato deve essere linkato nella pagina HTML attraverso un tag <link> come esemplificato di seguito:
    <link rel="icon"
    type="image/png"
    href="http://miosito.itm/miafavicon.png">

    Come inserire una favicon in un sito

    La procedura per creare una favicon è in genere piuttosto semplice: se salviamo un’immagine in formato icona, ad esempio 64×64 o 32×32 (quindi di forma quadrata), basterà  uploadarla via FTP sul nostro sito nella root o cartella principale (dove c’è il file .htaccess, per intenderci). Nei siti moderni, tuttavia, si tiene spesso conto della multi-risoluzione della favicon, per cui si creano più dimensioni diverse, si aprono come livelli (ad esempio in GIMP) e si esporta tutto come immagine unica.

    La procedura dettagliata per farlo è spiegata qui (in inglese).

    Come inserire la favicon in WordPress (passo-passo)

    Se invece usate la versione più recente di WP, per impostare la favicon esiste una procedura guidata: nella nuova versione di WordPress, a partire dalla 4.3 in poi, la funzionalità  di aggiunta della favicon è stata molto semplificata. Infatti basta andare dal pannello di amministrazione su Aspetto, e poi cliccare su Personalizza (l’indirizzo univoco corrispondente a questa sezione è wp-admin/post.php).

    A questo punto bisogna andare su Denominazione del sito, e fare clic su di esso.

    Ora non vi resta che impostare la favicon direttamente come immagine, caricandola nel formato indicato (si raccomanda quadrata di almeno 512 x 512 px), così come indicato nell’immagine.

    In alternativa, se per qualche motivo non potete seguire questa procedura, e se usate un theme child, basta aprire l’editor del proprio , ed inserire nel file header.php prima del tag </head> il seguente frammento di markup:

    <link rel="icon"
    type="image/png"
    href="http://miosito.itm/miafavicon.ico">

    avendo cura di caricare preventivamente il file della favicon creata via FTP nella root del nostro sito (htdocs, www, ecc. a seconda dei server).

    (fonte: W3C, Photo by ArchiM)

  • Come installare WordPress sul cloud di DigitalOcean

    Come installare WordPress sul cloud di DigitalOcean

    La maggioranza del web sembra funzionare sotto hosting condivisi, e questa scelta normalmente è adeguata per i siti web e le app web con poco traffico, senza picchi di visitatori e senza un flusso tale da poter garantire degli introiti mediante pubblicità ; ma, in generale, la scelta degli hosting shared è spesso sovrastata da opzioni di livello molto superiore. In genere, infatti, si tende a considerare, in un ipotetico ordine di “importanza” o potenzialità :

    1. hosting gratuiti/condivisi
    2. hosting semi-dedicati
    3. VPS
    4. hosting cloud
    5. server dedicati

    La soluzione offerta da Digital Ocean, che vedremo approfonditamente in questo post, si colloca più o meno tra l’opzione 3 e la 4, per quanto offra molte delle opportunità  riservate solitamente ai servizi della sezione 5.

    Perchè trasferire WordPress su cloud?

    Chi usa WordPress, nello specifico, potrebbe chiedersi per quali ragioni valga la pena scomodare un hosting di questo tipo, più potente e senza dubbio più costoso: in generale conviene farlo se avete un volume di traffico (Google Analytics alla mano) che valga la considerazione dell’opzione in questi termini, senza contare che potrete disporre di maggiori opzioni lato certificati HTTPS (che vanno installati da terminale, e Let’s encrypt è supportato, ovviamente), ma anche lato prestazioni del sito e cache (esempio pratico: con la soluzione base da 5 euro al mese potrete abilitare la cache ad esempio di W3 Total Cache mediante APC Accelerator, uno degli acceleratori PHP più semplici e minimalisti da configurare, e che permette di migliorare le prestazioni generali del linguaggio fino a 3 volte più velocemente della versione originale).

    Quanto costa farlo in termini di tempo e risorse?

    Lo svantaggio di questa scelta, se ne volessimo cercare uno, sarebbe insito nel fatto che in genere questi sistemi non sono ancora a prova di utente medio o utonto, ed in generale richiedono un minimo di conoscenze dell’uso del terminale, l’unica vera interfaccia con questi sistemi e mediante la quale sarà  anche necessario pensare alla sicurezza del sistema, alla configurazione di ogni dettaglio come firewall, eventuali load balancer e così via. A livello di costi, per la cronaca, siamo in linea con quelli di un normale hosting condiviso di buona qualità , con la differenza fondamentale che disporrete di più siti configurabili (come fosse un multisito, in sostanza) ed ognuno avrà  un bel po’ di spazio a disposizione (minimo 25GB ed almeno 1 GB di RAM, più che sufficenti per WordPress in genere).

    Vedremo quindi, a questo punto, come sia semplice abilitare l’account base da 5 euro al mese di Digital Ocean per un WordPress più veloce e scattante che mai.

    Prestazioni su Digital Ocean

    Le prestazioni su un’installazione “nuda” di WordPress parlano abbastanza chiare, del resto (il benchmark è quello di Pingdom): questo è il benchmark effettuato sulla prima installazione con il tema di default e privo di plugin.

    Si tratta delle prestazioni reali su un’istanza di base senza nulla installato, ovviamente, che si possono ulteriormente migliorare mediante un plugin di cache (qui avevo usato W3 Total Cache con supporto APC, una configurazione che consiglio a tutti in fatto di prestazioni e facilità  di configurazione). Ecco le prestazioni con cache attivata e qualche piccola accortezza (tipo includere localmente i Google Font e “pulire” i parametri di inclusione di script e CSS; senza nemmeno bisogno di minificare nulla):

    Ovviamente tenete conto che il vostro sito, a seconda dei theme, dei plugin e delle personalizzazioni che sfrutta, potrebbe non fornire prestazioni paragonabili se non dopo un accurato lavoro di reingegnerizzazione ed ottimizzazioni varie.

    Per finire, il TTFB è di circa 0.3 s (in linea con le raccomandazioni di Google):

    Come accedere la prima volta – registrazione

    Quando vi registrate la prima volta (da qui) dovrete inserire una mail valida e che utilizzate attivamente, perchè mediante essa riceverete tutte le informazioni per accedere al servizio.

    In seguito dovrete impostare il metodo di pagamento preferito, che può essere una carta di credito oppure Paypal, su cui andrete ad abilitare un servizio di pagamento ricorrente (per ragioni di praticità  Paypal rimane preferibile, per la cronaca).

    La registrazione richiede pochi secondo ed è molto snellita rispetto alla registrazione su altri portali, che tipicamente richiedono molti, troppi più dati (qui basta indicare nome, cognome ed indirizzo email valido).

    Guida passo-passo per la creazione di una droplet per WordPress

    Come primo passo, una volta loggati e dopo aver pagato il primo mese, cliccate su Create in alto a destra, e selezionate Droplets – che servirà  a creare un’instanza di cloud VPS da utilizzare come server per WordPress.

    Nella pagina successiva, sotto Choose an image per la sezione Distribution lasciate selezionato Ubuntu xx.xx x64, in realtà  questa opzione non ci interessa perchè dovremo cliccare su One-click apps, e tra le numerose app disponibili selezionare WordPress. Adesso dovrete decidere la taglia della vostra VPS (Choose a size), per cui andate a selezionare ad esempio quella base (1GB di RAM, 1 vCPU, 25 GB di spazio web a 5 dollari al mese). Come Datacenter Region selezionate London o Frankfurt o la città  più vicina a voi, e poi – almeno per un’installazione base a scopo di sviluppo – potete lasciare tutto il resto non selezionato. DigitalOcean provvederà  in automatico a creare tutto quello che vi serve cliccando su Create.

    Dopo qualche istante, sarete pronti: DigitalOcean vi avrà  assegnato un indirizzo IP per accedere via browser, e vedrete in alto nella schermata le droplet create – cioè i server virtuali che avete creato. In genere potete creare, distruggere e resettare qualsiasi droplet in qualsiasi momento, senza costi aggiuntivi; questo andrà  molto a vantaggio dell’operatività  generale del sito web, e vi consentirà  anche di sfruttare il servizio per altre tipologie di attività  (ad esempio un’istanza di droplet con Ubuntu attivo e funzionante).

    Tenete conto che se installate Ubuntu l’IP assegnato non sarà  funzionante da browser (se non dopo un po’ di configurazione da terminale); selezionando WordPress, invece, avrete un’istanza del CMS già  pronta all’uso con FTP e tutto, che pero’ sarà  sbloccata non appena avrete fatto l’accesso per la prima volta via terminale come utente root.

    Nell’esempio successivo, come esempio ulteriore, possiamo vedere due droplet (una in corso di creazione al momento della screenshot), in cui vediamo nell’ordine il nome (cliccabile per info), l’indirizzo IP (basta passare sopra col mouse e cliccare per selezionarlo) ed i tre puntini sospensivi per accedere alle opzioni:

    • aggiungere un dominio (cioè configurare un DNS per la droplet);
    • accedere al terminale
    • ridimensionare le risorse assegnate
    • vedere l’utilizzo effettivo mediante grafici di CPU, banda e spazio su disco
    • abilitare i backup automatici dei dati
    • aggiungere tag interni al fine di identificare le varie droplet

    Quando avete appena installato WP, aprendo via browser l’indirizzo IP assegnatovi vedrete qualcosa del genere:

    Principali opzioni di Digital Ocean

    Mediante interfaccia web sarà  possibile effettuare le operazioni più comuni di manutenzione ad alto livello, ad esempio:

    • Destroy: potete buttare giù la droplet (cliccando su Destroy, attenzione che questo comporterà  la perdita di tutti i dati, database e file del sito) oppure ricostruirla da zero cliccando su Rebuild dopo aver selezionato dalla casella di ricerca cosa volete reinstallare
    • Access: permette di ripristinare la password di root della droplet
    • Backup: permette di preimpostare un programma di backup dei vostri dati, una volta andati in produzione (si paga a parte)

    Viste le potenzialità  di un account del genere, è opportuno fin da subito impostare l’autenticazione a due fattori sul sito, per limitare i problemi di sicurezza legati ad accessi indebiti o non autorizzati.

    Cosa viene offerto per WordPress? Lo stack LAMP pronto all’uso 🙂

    La configurazione di base per WordPress vi fornisce una droplet con il classico LAMP stack:

    • server Apache
    • server per il database MySQL
    • supporto al linguaggio PHP 7

    Per un supporto potenziato alla sicurezza, inoltre, sono inclusi il supporto a UFW (che permette di gestire il firewall) e fail2ban (che serve a configurare ed aggiornare in automatico il firewall).

    Come collegarsi in SSH

    Le droplet sono sistemi operativi virtuali pre-impostati, e configurabili a piacere, con i quali darete vita alle vostre web app preferite, quindi WordPress, Django, Node.JS e tante altre (vedi altri hosting specifici per Django). Questo significa, pero’, che per garantire l’operatività  al massimo della potenza sull’istanza che avete creato dovrete accedere per la prima volta via SSH, e per farlo fare una cosa del genere, dal terminale di comando Linux e Mac (per Windows bisogna installare prima PuTTy):

    ssh root@indirizzo_IP

    dove indirizzo_IP sarà , ad esempio, l’indirizzo IP che avrete copiato da DO, tipo: 123.456.789.012.

    Ricordatevi che:

    • la username è sempre root
    • l’indirizzo IP viene assegnato dinamicamente per ogni creazione di droplet
    • la password per la prima volta viene assegnata ed inviata via email, poi va cambiata nel seguente modo: copiate la password assegnata via email, inseritela dopo aver richiesto la connessione SSH con il comando visto sopra, poi cliccate Invio, poi inserite nuovamente la vecchia password, premete Invio, solo adesso potrete confermare la nuova password e premere Invio per confermare. Si noti come i caratteri della password non vengano visualizzati da Linux per motivi di sicurezza: tale comportamento non è anomalo, è solo questione di abitudine (almeno, penso e … spero per voi!).

    Dopo aver cambiato la password, WordPress sarà  pronto all’uso (esempio di terminale di successo):

    Changing password for root.
    (current) UNIX password:
    Enter new UNIX password:
    Retype new UNIX password:

    WordPress has been enabled!

    Ecco un esempio di istanza di WordPress dall’indirizzo_IP assegnato, pronta all’installazione (non servirà  configurare nulla, la procedura è automatizzata).

    Errore WARNING: REMOTE HOST IDENTIFICATION HAS CHANGED!

    Se durante l’accesso dovesse apparire un messaggio di errore come “WARNING: REMOTE HOST IDENTIFICATION HAS CHANGED!” significa che state accedendo ad un indirizzo IP che avete resettato in precedenza, ad esempio, per cui dovrete correggere il comando ed inserire l’indirizzo IP corretto. In alternativa, potrebbe anche darsi che sia necessario cancellare la vecchia chiave di accesso e rigenerare la nuova, in questo modo:

    ssh-keygen -R indirizzo_IP

     

    Primo accesso a SSH

    Dopo aver creato l’istanza droplet e verificato che l’IP sia attivo e funzionante (con la schermata vista prima, in sostanza) andate a controllare se avete ricevuto una mail da DO: dovreste infatti aver ricevuto la password in una email con oggetto “Your New Droplet: …”, del tipo:

    • Droplet Name: il nome della droplet
    • IP Address: il valore da inserire al posto di indirizzo_IP per SSH
    • Username: root
    • Password: la password assegnata dal sistema

    Per accedere alle configurazioni più avanzate dovrete utilizzare SSH, la shell o terminale remoto per cui DA vi fornirà , al momento della creazione dell’istanza, una username ed una password di root da cambiare dopo il primo accesso. Per introdurvi al funzionamento di SSH vi rimando, per la cronaca, ai tutorial scritti su questo argomento su Trovalost.it (Introduzione al terminale Linux, Guida base all’uso di SSH).

    Gli usi ovviamente non finiscono qui: tra i numerosi CMS ed applicazioni disponibili per le droplet troviamo NodeJS (quindi possiamo tranquillamente usare DO come hosting per NodeJS), Django, Rails, Redis, MongoDB, Cassandra, Docker e tutti i principali sistemi operativi open source (Debian, Ubuntu e così via).

    (fonte, fonte)

  • Come migrare / convertire un sito Blogger in WordPress

    Come migrare / convertire un sito Blogger in WordPress

    Migrare un sito web da Blogger a WordPress può richiedere un po’ di tempo e impegno, ma ne vale la pena: WordPress è una piattaforma più potente e flessibile di Blogger, che ti offre maggiore controllo sul tuo sito web e ti permette di creare un sito web più bello e funzionale.

    Migrare un sito web da Blogger a WordPress può essere un processo semplice se si seguono i giusti passaggi. In questa guida, ti forniremo le istruzioni dettagliate per spostare il tuo blog da Blogger a WordPress senza perdere alcun dato.

    Passaggi preliminari

    1. Scegliere un servizio di hosting WordPress: Avrai bisogno di un servizio di hosting web per ospitare il tuo sito WordPress. Esistono molti provider di hosting tra cui scegliere, quindi assicurati di fare le tue ricerche e trovare un piano che soddisfi le tue esigenze.
    2. Installare WordPress: Una volta scelto un servizio di hosting, puoi installare WordPress. La maggior parte dei provider di hosting offre un’installazione con un clic, che semplifica il processo.
    3. Esportare i contenuti da Blogger: Blogger ti consente di esportare il tuo blog in un file XML. Per farlo, accedi al tuo account Blogger, vai su Impostazioni > Generale e clicca su Esporta blog. Salva il file XML sul tuo computer.

    Importare i contenuti in WordPress (usa Blogger Importer)

    1. Installare il plugin Blogger Importer: Per importare i tuoi contenuti da Blogger in WordPress, avrai bisogno di un plugin. Il plugin più popolare è Blogger Importer. Accedi alla dashboard di WordPress, vai su Plugin > Aggiungi nuovo e cerca Blogger Importer. Installa e attiva il plugin.
    2. Importare i contenuti: Una volta installato e attivato il plugin Blogger Importer, vai su Strumenti > Importa nella dashboard di WordPress. Clicca su Blogger e segui le istruzioni per importare il file XML esportato da Blogger.

    Configurare WordPress

    1. Scegliere un tema: WordPress offre una vasta gamma di temi gratuiti e a pagamento tra cui scegliere. Scegli un tema che corrisponda all’aspetto e alle funzionalità desiderate per il tuo sito web.
    2. Personalizzare il tema: Una volta scelto un tema, puoi personalizzarlo per adattarlo al tuo marchio e alla tua personalità. Puoi modificare i colori, i font, il layout e altro ancora.
    3. Aggiungere contenuti: Ora puoi iniziare ad aggiungere nuovi contenuti al tuo sito WordPress. Puoi creare post, pagine, categorie, tag e altro ancora.
    4. Impostare i permalink: I permalink sono gli URL dei tuoi post e delle tue pagine. Assicurati di impostare permalink SEO-friendly per migliorare il posizionamento del tuo sito web nei motori di ricerca.
    5. Installare plugin: I plugin aggiungono nuove funzionalità al tuo sito WordPress. Esistono plugin per ogni esigenza, dall’ottimizzazione SEO al social sharing.

    Conclusioni e suggerimenti finali

    Alcune cose da ricordare prima di chiudere.

    • Reindirizzare i tuoi vecchi URL: Una volta che il tuo sito WordPress è attivo e funzionante, è importante reindirizzare i tuoi vecchi URL Blogger ai tuoi nuovi URL WordPress. Questo garantirà che i tuoi visitatori non vengano reindirizzati a pagine inesistenti.
    • Aggiornare i collegamenti esterni: Se altri siti web si collegano al tuo vecchio blog Blogger, dovrai aggiornare i collegamenti per puntare ai tuoi nuovi URL WordPress.
    • Sottomettere il tuo sito web ai motori di ricerca: Una volta che il tuo sito WordPress è pronto, invialo ai motori di ricerca come Google e Bing. Questo aiuterà il tuo sito web a essere trovato dai potenziali visitatori.