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Google non sembra gradire che i suoi programmatori usino Bard AI per sviluppare

Quando si lavora nelle grosse multinazionali è possibile che i dipendenti abbiano dovuto sottoscrivere un accordo confidenziale di non divulgazione: non è una cosa anomala, anzi è la prassi per aziende di informatica che cercano così facendo di mantenere il segreto industriale sui propri progetti e modus operandi. Sta capitando lo stesso per lo sviluppo di Bard AI, l’intelligenza artificiale di Google che dovrebbe far concorrenza a ChatGPT e che si caratterizza, tra le altre cose, per una spiccata “propensione” a generare codice in Python, C++, e via dicendo. Come sappiamo Bard AI non è ancora disponibile se non in alcuni paesi specifici, tra cui non figura l’Italia (almeno al momento in cui scriviamo), ma c’è da giurare che prima o poi arriverà e si vedranno numerose evoluzioni in questo genere di tecnologie.

Google, per quanto ne sappiamo dalla stampa (Reuters), avrebbe pertanto diffidato i propri dipendenti di non divulgare informazioni riservate (fin qui nulla di strano) nè di utilizzare il codice generato dal suo chatbot Bard AI. La cosa dovrebbe rientrare in una policy sulla privacy abbastanza restrittiva, che dovrebbe tutelare azienda e dipendenti da eventuali fughe di informazioni oltre al fatto che, naturalmente, i programmatori di Bard AI non solo non possono usare codice generato da Bard AI ma non devono nemmeno farsi coadiuvare da ChatGPT e simili, nel proprio lavoro.

Non ci sarebbe nulla di troppo anomalo in tutto questo, se non fosse che si rileva una apparente e sostanziale contraddizione: come si può pensare che Bard AI sia uno strumento di supporto per i programmatori se sono i programmatori stessi di Bard AI a non poterne fare uso per policy? L’analisi probabilmente non si presta a grosse speculazioni, andrebbe analizzata con cautela e sembra essere tutt’altro che a prova di equivoci, anche perchè fa riferimento a policy aziendali interne, non pubbliche in molti casi, sulle quali si può dire un po’ di tutto senza prove.

Secondo l’indiscrezione trapelata alla stampa, il divieto sarebbe dettato dal rischio di generare “suggerimenti di codice indesiderati”, che costerebbero parecchio in termini di manutenzione e debug, evidentemente. Ci riserviamo di fare considerazioni caute in merito: da un lato, la contraddizione potrebbe essere palese, e mostrerebbe che Bard AI non è probabilmente lo strumento assistivo per programmatori che dice di essere. D’altro canto potrebbe esserci un equivoco sostanziale in ballo, pompato dalla stampa “gossip” e per cui si potrebbe dire, senza eccessivo timore di sbagliarsi, che probabilmente non si permette di fare uso di Bard AI perchè tecnicamente diventerebbe un limite, una sorta di blocco sulla qualità del codice e del software, per lo stesso motivo per cui un codice deve essere ben scritto e mantenuto secondo standard qualitativi (come i pattern di programmazione, ad esempio) che una AI per quanto evoluta non è (ancora) in grado di garantire. Comunque stiano le cose, insomma, staremo a vedere cosa succederà nel prossimo futuro.

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