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Cronologia delle posizioni: Google perde una battaglia giudiziaria in Australia

Le impostazioni sulla privacy di Google sono a volte precise, altre molto meno: tant’è che sembra che nemmeno i dipendenti dell’azienda le conoscano al 100%. Non è la prima volta che succede il caso di Google che finisce in tribunale per via di questa ambivalenza, e questa volta la funzionalità  in questione riguarda il tracciamento delle posizioni nel tempo.

Google avrebbe infatti, in qualche modo “confuso” una parte degli utenti Android: nello specifico a livello di Cronologia delle posizioni, la funzionalità  che traccia gli spostamenti dell’utente, che è silenziosamente abilitata di default sugli account Gmail, ed è da sempre nell’occhio del ciclone perchè considerata critica per la privacy dei singoli. Del resto, chiunque abbia un telefono Android di nuova generazione dovrebbe sapere che, se tiene attivo il GPS durante i propri spostamenti, trovarsi in determinati luoghi potrebbe comportare una richiesta da parte di Google Maps, ad esempio, di lasciare una recensione o rispondere a delle domande su quello specifico luogo (un teatro, un ristorante e via dicendo).

Questo sembra vale anche nel caso in cui (sperimentazione fatta col mio telefono) la cronologia in questione sia stata disabilitata molti anni fa. Quello che emerge da questo ennesimo caso avvenuto in Australia, di fatto, è che disattivare la Cronologia delle posizioni non disabilita effettivamente le funzionalità  di tracciamento della propria posizione da parte di altri prodotti di Google. Ci sarebbe forse da discutere sull’ovvietà  dell’implicazione, in effetti, che in questo caso sembra tutt’altro che scontata: tutto pero’ parte da una segnalazione della Associated Press americana, che aveva osservato pubblicamente questa singolarità  di comportamento.

Il caso è finito all’attenzione della Federal Court australiana, che ha deliberato che la rappresentazione della funzionalità  Cronologia delle posizioni sia in qualche modo ambivalente e poco chiara, perchè farebbe intuire che Google permettesse di attivare e disattivare la cronologia delle posizioni in modo univoco. Cosa che si è rivelata falsa alla prova dei fatti, visto che altre app erano in grado di accedere lo stesso alla posizione e che, soprattutto, non ha probabilmente giocato in favore di Google il fatto che la cronologia delle posizioni fosse in qualche modo sempre attivata di default.

Certo è che bisognerebbe fare un distinguo tra Android e Google, che – almeno stando alle cronache del fatto – la corte non sembra aver fatto, identificando i due prodotti in un unico corpus. Poi andrebbe capito anche cosa avrebbe comportato la disabilitazione fatta in modo diverso: probabilmente andava indicato in modo più didascalico, da parte di Google, che la disabilitazione della cronologia delle posizioni non disabilita il GPS in toto, perchè ad esempio potrei volerlo usare per il navigatore di Android Auto, senza che pero’ voglia o possa lasciare traccia dei miei spostamenti (tema peraltro molto sensibile nel caso di professioni o categorie particolari come magistrati o medici, ad esempio). Un conto è il GPS in tempo reale, insomma, un conto è tracciare gli spostamenti e tenerne traccia in un server (peraltro non pubblico, a meno che non sia l’utente ad abilitarlo in automatico). àˆ chiaro che nessuno, qui, vuole difendere acriticamente Google, che di sicuro ha almen un minimo di responsabilità  nel non aver chiarito il comportamento effettivo della propria app (cosa da fare a maggior ragione, di fatto, se si considerano alfieri dell’open source). Al tempo stesso, pero’, l’interpretazione della condanna si basa su un tecnicismo che è stato forse vagamente strumentalizzato, perchè per evitare quella circostanza si sarebbe dovuto far coincidere la disabilitazione del tracking degli spostamenti con l’eventuale disabilitazione completa del GPS, cosa che peraltro è Android a consentire in qualsiasi momento, non le app di Google che ne compongono solo una parte.

La cronologia delle posizioni è generalmente usata per condizionare ed elaborare solo i dati raccolti via Google Maps. Ciò aveva forse più senso qualche anno fa, quando tale cronologia era partita come impostazione all’interno delle famose mappe di Google. In seguito si è passati alla gestione unificata degli account, che ha implicato che le impostazioni fossero inserite nella gestione di tutti gli aspetti del proprio accunt, decontestualizzando cosଠil fatto che fosse Google Maps a farne uso. La Associated Press chiese, di fatti, perchè questa impostazione non si chiamasse “disattiva il monitoraggio della posizione per l’account” e non “Cronologia delle posizioni”, ma la domanda (per quanto lecita per molti versi) potrebbe considerarsi malposta per altri, denotando una conoscenza tecnologica non propriamente di fino.

Google ha dovuto cambiare le impostazioni della Cronologia delle posizioni dopo quella richiesta dall’associazione, e oggi l’azienda afferma che la funzione è un’impostazione a livello di account Google che salva la posizione su qualsiasi dispositivo mobile. Paradossalmente questo ennesimo caso rischia, almeno in teoria, di rendere le impostazioni per la privacy ancora più ambivalenti e meno chiare di quanto non siano.

Foto di Arek Socha da Pixabay

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